venerdì 19 ottobre 2007

Apollo e Dafne

"L'inseguitore però, aiutato dalle ali dell'amore, corre di più e non dà tregua ed è alle spalle della fuggitiva, ansimando sui capelli sparsi sul collo. Stremata alla fine ella impallidisce, e vinta dalla fatica di quella corsa disperata, si rivolge alle acque del fiume Peneo [...].
Ha appena finito questa preghiera, che un pesante torpore le pervade le membra, il tenero petto si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; il piede, poco prima così veloce, resta inchiodato da pigre radici, il volto svanisce in una cima. Conserva solo la lucentezza.
Anche così Febo la ama, e poggiata la mano sul tronco sente il petto trepidare ancora sotto la corteccia fresca, e stringe fra le sue braccia i rami, come fossero membra, e bacia il legno, ma il legno si sottrae ai suoi baci. E allora dice: "poichè non puoi essere mia moglie, sarai almeno il mio albero. O alloro, sempre io ti porterò sulla mia chioma, sulla mia cetra. sulla mia faretra..."
Tratto dalle Metamorfosi di Ovidio


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